Didattica a Distanza: sopravvivere alla DAD

Mi è stato chiesto di scrivere un articolo sulla Didattica a Distanza, per gli amici DAD.
Un articolo che non sia solo un elenco dei lati negativi della DAD, ma che dia qualche strumento o suggerimento a chi legge per sopravvivere alla DAD.
Che bella idea!
Grazie alla DAD posso farmi venire in mente meravigliose idee per questo articolo che sto scrivendo a penna, visto che il computer serve a mia figlia che frequenta la prima elementare, anche se a me pare frequenti camera sua.
Per fortuna avevo una commissione che mi ha dato l’occasione di uscire di casa.
Per questo ho il tempo di scrivere questo articolo a penna, dentro la mia automobile mentre sono in coda in attesa del mio turno.
Questa è la DAD.
Una fatica organizzativa famigliare e una fatica di concentrazione e motivazione per i ragazzi.

Quindi quali suggerimenti?

Il suggerimento è fondamentalmente uno: cambiare prospettiva.

Possiamo cercare tutti gli accorgimenti per far andare le cose come prima, combattendo contro i mulini a vento e cercando di continuare sulla stessa strada, quando tutto di fatto è cambiato.

Oppure possiamo accogliere la rabbia e la tristezza di come stanno andando le cose.

Possiamo cogliere questa grande occasione per insegnare ai nostri figli che la vita non va sempre come abbiamo pianificato.

Ed è triste, è sconvolgente, è doloroso.

Come tutto nella vita, lascerà il posto ad altro e passerà.

Passerà e sopravvivremo alla DAD e al dolore di stare senza amici.

Passerà e sopravvivremo.

Intanto però ci siamo dentro.

La vita è stata stravolta e possiamo insegnare ai nostri figli che possono permettersi di essere tristi (come lo siamo noi), di essere demotivati (come lo siamo noi), di non aver voglia di seguire la DAD o studiare (come magari è per noi lo smart working).

Possono anche permettersi di andare male a scuola perché c’è qualcosa di più importante e più grosso che tiene impegnata la loro attenzione.

Possiamo insegnare ai nostri bambini che a volte nella vita la fatica è così grande, che le cose non vengono perfette e a volte non vengono proprio.

Questo non significa arrendersi.

Questo significa avere compassione, per noi stessi, per i nostri bambini, per questo momento doloroso.

Al contrario di quanto si pensa, piangere e ammettere che questa situazione “fa schifo” non è un modo per impantanarsi nel dolore.

Piangere e concedersi il dolore è il primo passo per star meglio: un dolore accolto e pianto è un filino meno doloroso e allora ci possiamo accorgere di cos’altro c’è oltre a questo dolore.

E se ammettiamo che la DAD è più faticosa e meno stimolante, che gli amici e le relazioni mancano da morire.

Se ammettiamo questo dolore e questa rabbia, possiamo anche stare vicino ai nostri bambini.

Possiamo dir loro che ci dispiace che debbano vivere questo momento difficile.

Possiamo chiedere loro di cosa hanno bisogno o cosa possiamo fare per loro.

E magari scopriamo che basta stare seduti l’uno accanto all’altro mentre si fa DAD e smart working, per rendere la fatica più sopportabile.

Oppure scopriamo che 20 minuti di sfida sportiva insieme, sono sufficienti per dare un colore diverso alla giornata.

Oppure scopriamo che ballare tutti insieme una pessima canzone da discoteca a tutto volume, aiuta a buttare fuori la rabbia e magari ci scappa una risata e un pianto insieme.

Cercare di tirare avanti con i paraocchi, facendoci forza a tutti i costi aggiunge solo il dolore e la rabbia di un dolore e di una rabbia che non sono nemmeno ascoltati.

Dare spazio alle proprie emozioni e a quelle dei nostri bambini, anche quelle negative invece è una buona strada che alleggerisce e rende profondamente vero e vivo il momento che stiamo vivendo.

Non è negando la sofferenza che arriva la felicità: arriva l’ansia, l’insonnia, i disturbi somatici e altri sintomi.

E allora fatevi guidare dalla fantasia ed entrate in contatto con il vostro mondo interno: se fosse una pietanza, cosa sarebbe? Che gusto, che sapore avrebbe? che profumo.. che consistenza.. che colore avrebbe? Vi piace? Non vi piace? Che ci volete fare? C’è qualcosa che potete aggiungere per rendere questo piatto più buono per voi? Cosa potrebbe essere concretamente questo ingrediente nella vostra vita?

Violetta Molteni
Psicoterapeuta dello Staff dei Poliambulatori Arcade

 

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